Aosta 2016

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« Voyage aux glaciers du Mont St. Bernard ».
Percorsi interpretativi e letture dell’Elisa di Cherubini.
Convegno internazionale, Aosta-Morgex, 21–22 ottobre 2016

Maria Teresa Arfini e Paola Bianchi
(Università della Valle d’Aosta)

Nell’ambito del progetto di ricerca “Il teatro musicale come oggetto d’indagine interdisciplinare e come strumento pedagogico: Eliza, ou Le voyage aux glaciers du Mont St. Bernard” dell’Università della Valle d’Aosta, in collaborazione con l’Università di Torino, la Fondazione Sapegno di Morgex, l’Istituto Superiore di Studi Musicali di Aosta e l’Istituto per i Beni Musicali in Piemonte, si è tenuto nei giorni 21 e 22 ottobre 2016 un convegno incentrato sull’opéra-comique Eliza di Luigi Cherubini. Le giornate di studio hanno avuto luogo presso la sede dell’Università e la Tour de l’archet, edificio medievale sede della Fondazione Sapegno a Morgex, nei pressi del Monte Bianco e dei luoghi ove l’opera cherubiniana è ambientata.

Il comitato scientifico, formato da Paola Bianchi (Università della Valle d’Aosta), Florinda Bartolucci (Istituto Superiore di Studi Musicali di Aosta) e Helen Geyer (Internationale Cherubini-Gesellschaft e. V.), ha voluto dare una prospettiva ampia e trasversale ai lavori, coinvolgendo anche studiosi di discipline diverse dalla musicologia, per inquadrare il contesto entro cui l’opera nacque e di cui rese testimonianza. Si sono così avvicendati contributi musicologici e interventi di carattere storico, linguistico, letterario, volti a restituire l’ambientazione e le peculiarità di questo opéra-comique.

Helen Geyer, nella relazione dal titolo “Cherubini tra le tradizioni: considerazioni attorno all’opera”, ha illustrato come la produzione operistica di Luigi Cherubini (dopo un inizio ancora legato alla tradizione, per quanto concerneva la messa in scena delle opere italiane) già con l’opera Ifigenia avesse dimostrato una qualità inaspettata, per la caratterizzazione psicologica dei personaggi, la struttura interna della partitura, la semantica della strumentazione e la densità contrappuntistica della composizione. L’interesse particolare fu sul sublime come mimesis e forza interna della struttura musicale, mettendo in relazione osservazioni teoriche colle opere prima dell’Eliza. Nell’approfondire i caratteri dei personaggi Cherubini acquistò una capacità notevole, che si sarebbe sviluppata ancor di più venendo a contatto con l’opera francese a Parigi, dove il compositore si immerse poco per volta nella produzione per il palcoscenico. Elementi del preromanticismo, o già del romanticismo, si mescolarono con tratti tradizionali dell’opéra-comique; soprattutto l’orchestra acquistò un’importanza e un’autonomia che guardava nettamente al futuro. Un esempio di tutto ciò è sicuramente l’opéra-comique Eliza, la cui versione pubblicata si differenzia per aspetti molto importanti dalla versione autografa.

Erica Joy Mannucci, storica da anni impegnata a studiare l’età giacobina, intervenendo su “Sentimenti e politica nel teatro repubblicano prima di Termidoro”, si è occupata di mettere a confronto la vicenda di Eliza con le trame del teatro rivoluzionario musicale e di parola. Il libretto dell’opera Eliza racconta una storia d’amore contemporanea che è subito riconoscibile (nel suo sentimentalismo implicitamente laico e repubblicano) come prodotto dell’epoca rivoluzionaria. In maniera altrettanto palese, si colloca dopo lo spartiacque di Termidoro. Tra i segnali più evidenti del mutamento di clima che il testo rispecchiava non si può non notare la spoliticizzazione dell’amore e in particolare del ruolo femminile. Il teatro repubblicano prima di Termidoro (in piena guerra, sia alle frontiere sia civile) aveva trattato del rapporto fra privato (il sentimento “naturale”) e pubblico (ciò che la patria, la legge e la morale rivoluzionarie richiedevano e offrivano all’individuo), esplorando a caldo l’aspetto esistenziale dei cambiamenti rivoluzionari e svolgendo una funzione di mediazione e compensazione che rispondeva a esigenze reali, che sarebbe riduttivo leggere soltanto in chiave di propaganda.

La relazione di Anselm Gerhard, “Questioni di altitudine: l’opera di ambientazione alpina e i suoi aspetti (non solo) geografici”, ha sollevato, piuttosto, una serie di dubbi intorno all’opera. Anche se l’opera Eliza (o Elisa) è ormai riconosciuta come uno dei capolavori di Cherubini, tanti quesiti attendono di essere risolti: di quale «Mont St. Bernard» ovvero «Mont Bernard» si parla nel libretto? Quale versione è documentata nella partitura a stampa? Quando ebbe luogo la prima assoluta? Come si dovrebbe scrivere il nome della protagonista? Nel suo contributo, Gerhard non ha voluto offrire risposte compiute, ma piuttosto sottolineare quanto questa composizione sia stata trascurata dalla ricerca e quanto invece sia necessario l’allargamento della prospettiva ai contesti politici e letterari del decennio rivoluzionario, per interpretarne precise scelte lessicali e stilistiche.

Marco Ravera, filosofo che ha dedicato diversi studi all’idealismo e a questioni di estetica ed ermeneutica, ha inquadrato “Il sublime nella natura e nella musica”, nella prospettiva prevalente nell’Eliza, ovvero nella nuova sensibilità tardo-settecentesca, presentandone le maggiori teorizzazioni. La questione del sublime è sempre stata centrale nella storia dell’estetica: particolarmente rilevante fu, tuttavia, la svolta segnata, alla fine del XVIII secolo, dai testi chiave di Burke e di Kant (Critica del Giudizio). Soprattutto quest’ultimo, con la riflessione sul sublime “dinamico”, preparò una sensibilità preromantica che legava profondamente tale idea allo scatenarsi delle forze della natura. Fu una via seguita anche da Goethe e che avrebbe trovato molti adepti, fra i quali vanno ricordati soprattutto Wackenroder e Solger. Ora, se è vero che nella riflessione filosofica più accademica del tempo (si pensi a Hegel) lo spazio riservato ai temi musicali fu senz’altro inadeguato a quello ch’era il clima culturale contemporaneo (soprattutto in ambito mitteleuropeo), emersero, tuttavia, pagine con spunti di rilevante interesse sulla capacità propria della musica di evocare il nesso tra sentimento del sublime e contemplazione della natura: di farsi, insomma, tramite dell’idea del sublime non tanto attraverso la mera descrizione sonora delle forze della natura (che, quando viene tentata, resta sempre superficiale ed esteriore), quanto piuttosto nella forma di ciò che Beethoven, nella Pastorale, definiva “mehr Ausdruck der Empfindung als Malerei”.

Gianni Nuti, docente che si occupa di didattica della musica, nella relazione intitolata “L’opéra-comique ’Elisa’ di Cherubini in una prospettiva didattica di impronta interdisciplinare”, ha presentato alcune aperture interdisciplinari che scaturiscono dell’Eliza, quanto mai adatte a trasposizioni pedagogiche. L’opera si potrebbe, cioè, concepire come una sorta di laboratorio in cui sperimentare, a più livelli di approfondimento e in presenza di docenti e discenti di vario grado, l’intersezione di musica, storia, letteratura, storia dell’arte, geografia, linguistica intorno a un fulcro fortemente unitario per il contesto regionale di riferimento.

Paola Bianchi, storica modernista in particolare studiosa del Settecento, trattando di “Occupazione francese della Savoia ed echi alla frontiera degli Stati sabaudi: 1792–1796”, ha ripercorso i tragitti delle spedizioni militari francesi che, a partire dalla cosiddetta prima campagna d’Italia (1792), attaccarono il Regno di Sardegna dalla Savoia e, quasi contemporaneamente, dal Nizzardo. La relazione ha illustrato quali furono le ripercussioni in Valle d’Aosta, teatro delle vicende narrate dal libretto e dalla messa in scena dell’Eliza: un territorio che si riscopriva, a fine Settecento, territorio di frontiera, una frontiera destinata ad accogliere nuovi flussi migratori e nuove strategie di difesa. Prima dell’annessione napoleonica, i percorsi lungo le vallate e attraverso i valichi alpini compiuti dalle truppe francesi e, sul fronte opposto, dagli eserciti coalizzati che cercarono di bloccarne l’avanzata erano stati precocemente battuti anche dagli immigrati fuggiti dalla Francia e approdati negli Stati sabaudi. Si trattò di un’ondata di émigrés contro-rivoluzionari che marciarono in direzione contraria rispetto ai personaggi dell’Eliza che vengono tratteggiati nell’atto d’incontrare valligiani in marcia verso Parigi. Non si può escludere che l’autore del libretto dell’Eliza, Révéroni de Saint-Cyr (un militare-letterato che certo scrisse ispirandosi alla sua fantasia, ma che doveva possedere anche elementi descrittivi attinti alla sua professione d’ingegnere militare attivo nelle campagne napoleoniche), e gli scenografi torinesi De Gotti avessero letto testimonianze scritte in presa diretta, quanto meno da quel 1792 che aveva riportato in guerra questo fronte alpino.

Marco Cuaz, autore di saggi dedicati all’evoluzione della rappresentazione delle Alpi con particolare attenzione al settore valdostano, ha riflettuto, invece, sul mutamento dell’immagine della montagna: “‘Pays du diable’ o ‘Pays des Dieux’? L’immagine della montagna nell’Europa di fine Settecento”. Révéroni de Saint-Cyr non sembra aver conosciuto di persona i paesaggi montani di cui scrive nel libretto, piuttosto li ricostruisce pescando elementi narrativi diversi nella letteratura del secondo Settecento: “ponti del diavolo” e “colline dei morti”, valanghe e precipizi, monaci alla ricerca di viaggiatori perduti e un paesaggio dell’anima dove si confrontano antiche paure e nuovi miti salvifici. La contrapposizione di sentimenti fra Germain e Florindo ci porta al centro della “révolution du regard”. Da un lato le “orrende montagne”, il mondo dei diavoli e dei draghi che popolavano da millenni l’immaginario collettivo, dall’altro la nuova sensibilità romantica dei lettori di Haller e di Rousseau che diventerà vincente nel secolo successivo. Cuaz ha posto una serie di domande: cosa si sapeva esattamente della montagna nel 1794? Cosa aveva letto (e cosa non aveva letto) Révéroni de Saint-Cyr? Dove aveva attinto i segni narrativi che fanno da sfondo alla vicenda dei due amanti?

Uno degli aspetti più vistosi dell’opzione “realistica” (per ciò che questo termine poteva significare nel passaggio fra Sette- e Ottocento) dell’Eliza è la caratterizzazione linguistica di alcune sue parti, segnatamente quelle riferibili al “coro” dei Savoiardi e al personaggio del buon montanaro Michel. Il dialettologo Gianmario Raimondi (“Registri popolari, registri regionali, patois nell’‘Elisa’ di Révéroni Saint-Cyr”) ha evidenziato i caratteri linguistici di questa opzione espressiva, in bilico fra la marcatura (più o meno stereotipata) dei registri orientati verso i gradini inferiori del francese (français populaire e/o français régional) e il possibile ricorso al polo schiettamente dialettale del repertorio, nello specifico rappresentato dal patois francoprovenzale dell’area di ambientazione.

Maria Teresa Arfini (“Immaginario visivo e musica in ‘Elisa’”) ha riflettuto su come la natura spettacolare e terrificante dell’alta montagna diventi protagonista e s’imponga all’immaginario degli uomini che la vagheggiano, la temono e proiettano su di essa la propria anima. Questo fa soprattutto Florindo, il protagonista dell’opera, che non a caso è un pittore paesaggista. In quegli anni si andava teorizzando un’estetica della pittura di paesaggio intesa come partitura musicale, essendo, come la musica, rappresentazione dell’animo umano. Florindo, schiantato dalla delusione d’amore, cerca il confronto con la natura sublime: pur con molte differenze non può non essere paragonato a un Saint-Preux rousseauiano, ovvero a un Werther goethiano. Dipinge scenari montani come andavano facendo in quegli anni i pittori Joseph Turner (attivo proprio in Valle d’Aosta) o Philippe-Jacques de Loutherbourg: Arfini ha cercato di mostrare come il nucleo portante dell’opera possa essere proprio questo.

Bruno Germano, che ha rappresentato il contributo storico-letterario al progetto da parte della Fondazione “Natalino Sapegno” (“Elisa e il pittore: un amore valdostano di Xavier de Maistre”), ha riferito che un’iscrizione posta in Aosta, al n. 20 di Via Croce di Città, ricorda che lo scrittore, militare e pittore savoiardo Xavier de Maistre soggiornò in quella casa dal 1793 al 1799: tale felice alloggio vide nascere l’amore tra lui e una signora aostana, designata come “Elisa”. Durante il soggiorno in Aosta, de Maistre si dedicò principalmente alla pittura di paesaggio; alla luce di ciò, i punti di contatto con le vicende dei protagonisti dell’opera di Cherubini e lo stesso librettista Saint-Cyr (scrittore e militare anch’egli) sono sorprendentemente molti e difficilmente giustificabili con la sola casualità: Florindo è un pittore paesaggista come de Maistre e il nome della signora amata da de Maistre è uno pseudonimo rappresentativo di precisi echi roussoviani.

Barbara Cipollone (“Il dramma sentimentale ‘Elisa’ di Gaetano Rossi e Giovanni Simone Mayr”), infine, ha descritto nei suoi punti salienti il dramma sentimentale in un atto Elisa di Gaetano Rossi e Giovanni Simone Mayr, rappresentato per la prima volta a Venezia, Teatro San Benedetto, nel 1804. Questo lavoro, chiaramente derivato dall’opera di Cherubini, riscosse fin da subito un vistoso successo, testimoniato dalle cronache coeve e ribadito nelle successive rappresentazioni. Attraverso i libretti è stato possibile documentare una trentina di rappresentazioni, nell’arco di un ventennio. L’opera presenta le qualità specifiche della farsa veneziana del tardo Settecento: la struttura in un atto, la particolare attenzione al realismo dell’azione e del gesto (grazie anche ad un minuzioso apparato di didascalie), la ricerca di una maggiore immediatezza del rapporto tra palcoscenico e pubblico e, sopra ogni cosa, la condizione derivativa del soggetto da un testo preesistente. Nei primi anni dell’Ottocento fu intensa l’importazione di soggetti francesi: l’opéra-comique, in particolare, fu recepito in Italia attraverso numerose riscritture, il cui filone più diffuso consistette nei vari riadattamenti in opere definite “farsa”, “farsa sentimentale” o “dramma sentimentale”. La relazione ha offerto, così, una disamina delle connotazioni drammatico-musicali e degli aspetti stilistici della partitura mayriana.