Benevento 2018

At the moment only available in Italian…

Resoconto Convegno Internazionale Luigi Cherubini:
Una Vita per il teatro

Fabrizio Meoli

Nei giorni 17-18-19 maggio si è svolto a Benevento il Convegno Internazionale di Studi “Luigi Cherubini. Una vita per il teatro”, organizzato dal Conservatorio Nicola Sala di Benevento con il sostegno del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica, e con il patrocinio della Società Internazionale Cherubini e della Società Italiana di Musicologia. Il Convegno, centrato sulla figura di Luigi Cherubini, ha offerto un’occasione di approfondimento sull’attività teatrale del compositore nell’ambito sia dell’opera seria sia dell’opera comica, grazie alle ricerche degli studiosi intervenuti e al dibattito scaturito dopo ogni relazione.

Il Convegno si è aperto con i saluti del Direttore del Conservatorio “Nicola Sala”, il M° Giuseppe Ilario, seguito dalla Prof.ssa Helen Geyer, Presidente della Società Internazionale Cherubini, e dalla Prof.ssa Mariateresa Dellaborra, in rappresentanza della Società Italiana di Musicologia.

L’apertura dei lavori è stata affidata a Helen Geyer, che si è soffermata sui nuovi concetti estetici e sull’oeuvre di Cherubini. Nel catalogo delle opere si possono rilevare, a partire dagli anni Ottanta del Settecento, orientamenti che si ispirano a nuovi criteri relativi al dramma per musica/melodramma, con conseguenze per la struttura musicale, ad esempio nella disposizione formale e nell’orchestrazione, attraverso la scelta dettagliata degli strumenti in rapporto alla situazione drammatica e l’attenzione alla ricezione degli spettatori. Con questi esperimenti Cherubini raccoglie tendenze sia di Rameau sia di Gluck e le trasforma fino a raggiungere sviluppi che aprono le porte all’Ottocento, fino a Verdi. L’argomentazione è stata sostanziata con l’ascolto di esempi da Lodoïska e da Médée, che hanno suscitato una vivace discussione.

Mariateresa Dellaborra ha parlato di Mesenzio re d’Etruria, dramma per musica su libretto di Ferdinando Casorri, rappresentato in prima assoluta nell’autunno del 1782 al Regio Teatro di via della Pergola a Firenze, per poi essere ripreso nell’anno successivo a Cremona, al Teatro Nazari (stagione di carnevale) e a Treviso, nel Teatro Onigo (stagione d’autunno). Dopo aver illustrato lo stato delle fonti e le questioni legate alla trasmissione e alla diffusione dei diversi testimoni relativamente alla parte sia poetica sia musicale, la relazione ha offerto una disamina dei vari numeri musicali non solo per individuare i tratti caratteristici e gli stilemi compositivi del giovane autore, ma ancora per rimarcare le varianti più significative apportate nel corso dei tre allestimenti e, dunque, i problemi connessi alla realizzazione di un’edizione critica. Un parallelo con altre composizioni cherubiniane del periodo ha permesso di rimarcare la qualità del dramma che, pur in linea con le strutture e con le convenzioni dell’epoca, rivela una scrittura ricca di idee originali.

Camillo Faverzani è intervenuto sull’Armida abbandonata, una delle prime opere di Cherubini, rappresentata a Firenze presso il Teatro della Pergola il 25 gennaio 1782. Il libretto fu pubblicato anonimo; solo il nome del compositore figura dopo l’elenco delle dramatis personæ, comprensivo – come per solito – del nome degli interpreti. Dizionari ed enciclopedie attribuiscono la paternità del testo ora a Jacopo Durandi ora a Bartolomeo Vitturi, oppure a Vitturi (morto attorno al 1753) quale adattatore di Durandi; i cataloghi delle principali biblioteche sono più categorici nell’individuare quale autore Durandi. Questi fornì dapprima il poema alle note di Pasquale Anfossi (Torino, 1770), mentre Vitturi fu responsabile della versione per Ferdinando Bertoni (Venezia, 1747).  Un confronto dettagliato ha mostrato come i due libretti siano assai diversi, fin dalla distribuzione dei personaggi, e come sia quindi poco probabile che l’Armida del 1782 costituisca l’adattamento della poesia dell’uno da parte dell’altro. Il dramma per musica fiorentino presenta gli stessi personaggi del 1770, ma la loro evoluzione e l’azione non sono le stesse; la partitura conferma questa suddivisione.

Giovanni Polin si è occupato dell’Alessandro nell’Indie, ultimo libretto metastasiano intonato da Cherubini, andato in scena nel nuovo Regio Ducal Teatro di Mantova a partire dal 15 maggio (e fino al 30 giugno) 1784, per ben trentatré recite, con le scene di Pietro Gonzaga e un cast che prevedeva, per le tre parti principali, la presenza di alcuni dei più famosi cantanti dell’epoca, come Anna Morichelli, Luigi Marchesi e Matteo Babini. La ricerca ha illuminato, oltre che le circostanze materiali della rappresentazione, attraverso la riscoperta e la valorizzazione di documenti, lettere, ricordi e bozzetti (di un Gonzaga fresco reduce di visite alle antichità romane), le modalità e i motivi dell’adattamento cui viene sottoposto il dramma del poeta cesareo, ”ridotto in due atti“, testimonianza di una tipologia di testo spettacolare, in cui all’epoca si cercava di contemperare il gusto per il classico Metastasio con nuove strutture drammatiche musicali. Si sono infine commentate le arie scritte per il celebre castrato Marchesi, tràdite in alcuni rari e ben noti testimoni che attestano, eccezionalmente per iscritto, la prassi delle variazioni eseguite dal virtuoso.

L’intervento di Lorenzo Mattei ha preso in esame il dramma giocoso di Cherubini su libretto di Livigni, Lo sposo di tre e marito di nessuna (1783 Teatro di S. Samuele Venezia), per osservare come il giovane Cherubini sappia operare nella partitura un’ingegnosa mescolanza tra lo stile compositivo comico e quello serio, in modo ben più marcato di quanto accadesse nella prassi corrente. Il surplus virtuosistico richiesto alla parte di Donna Rosa, la pregnanza del commento orchestrale all’azione nei recitativi accompagnati, la complessità dell’articolazione formale delle arie e dei concertati, sono elementi che prendono le distanze dalle abitudini compositive coeve impiegate per un’opera buffa e che delineano una via alternativa all’operismo di conio napoletano, parallela alla tradizione veneziana e aperta a quell’ibridazione di generi che successivamente prenderà corpo negli opéra-comiques composti da Cherubini per i teatri di Parigi, in particolare Lodoïska e Faniska.

Emilia Pantini ha relazionato sulla Molinarella, da Piccini a Paisiello a Cherubini. Dopo il debutto napoletano del 1788, l’opera che Giovanni Paisiello e il suo librettista Giuseppe Palomba avevano intitolato L’amor contrastato prese comunemente il titolo dell’opera di Piccinni La molinarella, una commedia per musica che aveva debuttato a Napoli nel 1766, per via del medesimo mestiere praticato dalla protagonista. Forte di un successo immediato, col titolo di La molinarella l’opera di Paisiello debuttò il 31 ottobre 1789 a Parigi, al Théâtre de Monsieur. L’intervento ha ricostruito la logica delle scelte drammaturgiche napoletane, strettamente legate al primo cast; la circolazione dell’opera tra la prima esecuzione napoletana del 1788 e il debutto parigino del 1789; le trasformazioni che l’intonazione subì durante le riprese italiane e il genere d’interventi che furono operati a Parigi, comparando la drammaturgia del primo libretto con quello andato in scena in Francia.

La relazione di Francesca Menchelli-Buttini si è concentrata sulle arie sostitutive composte da Cherubini per una rappresentazione del Tamburo Notturno di Paisiello al Teatro Feydeau di Parigi nel 1791, ovverosia ”Moro… moro… manco… cado”, su testo parodiato dall’originale, e ”Fuggite, o donne, amore”, destinate rispettivamente alla coppia di cantanti Stefano e Maria Mandini, con l’intento di offrire un contributo all’approfondimento dell’attività di Cherubini quale collaboratore alle riprese di opere italiane. A Parigi si dette dell’opera di Paisiello – salvo un episodio e vari accomodi – la versione veneziana dell’autunno 1773, andata in scena al Teatro San Moisè, derivante da un precedente allestimento napoletano (della primavera 1773, al Teatro Nuovo). Una ricostruzione della tradizione teatrale del soggetto del Tamburo notturno – da Addison a Destouches al Conte caramella di Goldoni – ha inoltre permesso di circoscrivere i confini della rielaborazione di Lorenzi e delle ulteriori modifiche di Bertati, anche in relazione alle prerogative del genere della commedia per musica o del dramma giocoso, e di analizzare i nuovi equilibri creati dagli interventi parigini, con riferimento in particolare a Cherubini.

Gioacchino Zarrelli ha discusso alcuni aspetti della vocalità di Cherubini in Médée attraverso le recensioni di Henry Fothergill Chorley (1808–1872), individuato – insieme col francese Gautier – quale il miglior critico musicale per quanto riguarda l’accurata e meticolosa descrizione delle voci, dell’arte dei più grandi cantanti e compositori e per le informazioni sul gusto musicale e la prassi interpretativa. Fothergill Chorley elogiò senza mezzi termini la produzione strumentale e vocale di Cherubini, pur esprimendo tra le righe un giudizio severo per la non agevole interpretazione vocale nell’opera Médée. La scrittura vocale di Cherubini subì una mutevole evoluzione nel periodo della sua produzione operistica francese e per Médée si potrebbe ipotizzare addirittura un caso a parte. Resta comunque ancora tanto dello stile italiano.

Michael Fend ha preso in esame gli aspetti della biografia di Luigi Cherubini che hanno avuto a che fare con il processo di integrazione del compositore nella società francese, in seguito al suo definitivo trasferimento a Parigi agli inizi degli anni Ottanta del Settecento. Accanto alla sua specifica parabola biografica, che ha portato Cherubini a ricoprire cariche molto prestigiose dopo la Restaurazione, Fend ha analizzato con dovizia di particolari lo status politico e sociale dell’immigrato straniero nella Francia rivoluzionaria, cogliendone da una parte le criticità, dall’altra le facilitazioni per un immigrato che fosse considerato solidale con gli ideali rivoluzionari.

Luca Rossetto Casel ha reso una panoramica dei Bilanci del Teatro Regio di Torino per la stagione di carnevale del 1788, nella quale venne messa in scena Ifigenia in Aulide di Cherubini, su libretto di Ferdinando Moretti, l’ultima opera italiana del compositore. Sulla scorta dell’analisi delle fonti archivistiche torinesi, la relazione ha ricostruito con ampiezza di dettagli la genesi dell’opera e le caratteristiche dell’allestimento, illustrando le circostanze della rappresentazione, i personaggi coinvolti, il contesto storico-culturale. Ulteriori e preziose indicazioni sono risultate dalla riscoperta di una serie di figurini che dipingono i costumi dei cantanti e dei ballerini impiegati nell’allestimento, tutti ritratti in pose e posizioni attoriali di grande interesse.

Paolo Mechelli ha inteso indagare le declinazioni semiserie della vicenda di Lodoïska attraverso un percorso che da Fillette-Loraux-Cherubini risale e approda al Torvaldo e Dorliska di Sterbini-Rossini (del 1816, in 2 Atti), in particolare attraverso la Lodoïska di Gonella-Mayr (del 1796, in 3 Atti). La ricerca ha messo in rilievo in particolare l’evoluzione di quei personaggi (quali confidenti, scudieri, capitani delle guardie) che solo apparentemente risultano ruoli secondari e marginali. In realtà, costoro, al servizio di un padrone tiranno, stanchi del suo strapotere, si rivelano veri e propri macchinatori del sauvetage, liberatori, istigatori di insurrezioni e di ribellione, muovendo i fili della vicenda in direzione di uno scioglimento “rivoluzionario”.

La seconda giornata del Convegno si è conclusa con la presentazione, a cura di Lorenzo Mattei, del volume Lo Sposo Burlato da Piccinni a Dittersdorf. Un’opera Buffa in Europa, di Emilia Pantini, Camillo Faverzani e Michela Marconi, con Prefazione di Alberto Beniscelli.

Mariateresa Arfini ha proposto un esame dettagliato delle due versioni molto diverse del finale II nell’Elisa ou le Voyage aux glaciers du Mont (St.) Bernard del 1794. La prima versione, più corta, è quella della partitura a stampa, presumibilmente pubblicata alcuni anni dopo la prima rappresentazione e non certo nel 1794 (come al momento riferiscono le maggiori enciclopedie); la seconda, decisamente più lunga, è quella dell’autografo conservato presso la Biblioteka Jagiellońska di Cracovia; ancora differente la versione riportata dal libretto a stampa (Parigi, 1794). Sin dal titolo l’opera presenta ambiguità, al momento non risolte e in parte dovute alla necessità di adattare il testo alle richieste della censura antireligiosa di età giacobina. Il Finale II è quello ove tali differenze arrivano all’esasperazione.

Micheal Pauser ha discusso lo stile di Cherubini sulla base di una scelta di motetti sacri, durante il periodo come Surintendant de la musique du Roi. Tra di essi vi sono le parodie dei successi teatrali di Eliza e di Faniska, così come le opere sacre, che hanno un carattere profondamente spirituale pur funzionando come un’aria operistica. Luigi Cherubini infatti compose musica sia teatrale sia sacra, anche se il nucleo d’interesse cambiò durante la sua vita. La questione cui Cherubini inevitabilmente arrivò riguarda la possibilità di comporre musica sacra e teatrale con lo stesso stile musicale, una questione non nuova a quel tempo, che è oggi tutt’altro che universalmente accettata.

Giada Viviani si è prefissa d’indagare i vari aspetti della ricezione che la figura e la musica di Cherubini incontrarono presso Wagner, per appurare se ciò abbia avuto un impatto sui lavori del compositore sassone. Ha costituito lo strumento primario della ricerca l’ingente corpus degli scritti e delle lettere di Wagner: attraverso la loro disamina è stato possibile innanzitutto circoscrivere la rosa dei titoli cherubiniani sicuramente conosciuti da Wagner, ossia, non solo il repertorio teatrale (Lodoïska, Médée, Les deux journées, Anacréon, Faniska, Les abencérages), ma anche parte della produzione sacra, in particolare il Requiem in Re minore. Si è quindi ricostruito il pensiero di Wagner sulla base delle dichiarazioni da lui formulate nel corso degli anni: ricondotto alla “ältere französische Schule”, di cui sarebbe stato un esponente di spicco, Cherubini è apprezzato per diversi aspetti della sua scrittura, in primis il rigoroso senso formale paragonabile alle architetture palladiane; le strutture drammaturgico-musicali dei suoi lavori teatrali avrebbero costituito per Wagner un presupposto imprescindibile della concezione drammatica dei Musikdramen.

Fabio Morabito si è concentrato su di un manoscritto autobiografico, Nota relativa à L. Cherubini rédigée par lui-même, recentemente riemerso sul mercato delle vendite all’asta (asta Drouot 3.7.2015, dossier 2), databile al 1831, un anno significativo per il compositore, in cui egli cominciò a compilare il catalogo delle proprie opere. Dopo aver discusso la provenienza e la relazione del manoscritto con altri dati biografici, il relatore si è interrogato in particolare sulle ragioni per cui il documento non sia mai stato usato o pubblicato dai biografi in contatto con gli eredi del compositore, supponendo che una motivazione possa essere l’intento auto-promozionale. Utilizzando le riflessioni oggi prevalenti nella teoria autobiografica da Shakespeare a Wagner, si è inteso dimostrare come sia maggiormente significativa una lettura del documento nel senso di una costruzione letteraria, artistica e pubblica di sé rispetto a una lettura del documento quale fonte di concrete informazioni biografiche.